giovedì, settembre 28, 2006
giovedì, settembre 21, 2006
Caro Presidente,
scrivo a Lei, e attraverso Lei mi rivolgo anche a quei cittadini che avranno la possibilità di ascoltare queste mie parole, questo mio grido, che non è di disperazione, ma carico di speranza umana e civile per questo nostro Paese.
Fino a due mesi e mezzo fa la mia vita era sì segnata da difficoltà non indifferenti, ma almeno per qualche ora del giorno potevo, con l’ausilio del mio computer, scrivere, leggere, fare delle ricerche, incontrare gli amici su internet. Ora sono come sprofondato in un baratro da dove non trovo uscita.
La giornata inizia con l'allarme del ventilatore polmonare mentre viene cambiato il filtro umidificatore e il catheter mounth, trascorre con il sottofondo della radio, tra frequenti aspirazioni delle secrezioni tracheali, monitoraggio dei parametri ossimetrici, pulizie personali, medicazioni, bevute di pulmocare. Una volta mi alzavo al più tardi alle dieci e mi mettevo a scrivere sul pc. Ora la mia patologia, la distrofia muscolare, si è talmente aggravata da non consentirmi di compiere movimenti, il mio equilibrio fisico è diventato molto precario . A mezzogiorno con l’aiuto di mia moglie e di un assistente mi alzo, ma sempre più spesso riesco a malapena a star seduto senza aprire il computer perchè sento una stanchezza mortale. Mi costringo sulla sedia per assumere almeno per un’ora una posizione differente di quella supina a letto. Tornato a letto, a volte, mi assopisco, ma mi risveglio spaventato, sudato e più stanco di prima. Allora faccio accendere la radio ma la ascolto distrattamente. Non riesco a concentrarmi perché penso sempre a come mettere fine a questa vita. Verso le sei faccio un altro sforzo a mettermi seduto, con l’aiuto di mia moglie Mina e mio nipote Simone. Ogni giorno vado peggio, sempre più debole e stanco. Dopo circa un’ora mi accompagnano a letto. Guardo la tv, aspettando che arrivi l’ora della compressa del Tavor per addormentarmi e non sentire più nulla e nella speranza di non svegliarmi la mattina.
Io amo la vita, Presidente. Vita è la donna che ti ama, il vento tra i capelli, il sole sul viso, la passeggiata notturna con un amico. Vita è anche la donna che ti lascia, una giornata di pioggia, l’amico che ti delude. Io non sono né un malinconico né un maniaco depresso…morire mi fa orrore, purtroppo ciò che mi è rimasto non è più vita…è solo un testardo e insensato accanimento nel mantenere attive delle funzioni biologiche. Il mio corpo non è più mio...è lì, squadernato davanti a medici, assistenti, parenti. Montanelli mi capirebbe. Se fossi svizzero , belga o olandese potrei sottrarmi a questo oltraggio estremo ma sono italiano e qui non c'è pietà.
Starà pensando, Presidente, che sto invocando per me una "morte dignitosa". No, non si tratta di questo. E non parlo solo della mia, di morte.
La morte non può essere "dignitosa"; dignitosa, ovvero decorosa, dovrebbe essere la vita, in special modo quando si va affievolendo a causa della vecchiaia o delle malattie incurabili e inguaribili. La morte è altro. Definire la morte per eutanasia "dignitosa" è un modo di negare la tragicità del morire. È un continuare a muoversi nel solco dell’occultamento o del travisamento della morte che, scacciata dalle case, nascosta da un paravento negli ospedali, negletta nella solitudine dei gerontocomi, appare essere ciò che non è. Cos’è la morte? La morte è una condizione indispensabile per la vita. Ha scritto Eschilo: "Ostico, lottare. Sfacelo m'assale, gonfia fiumana. Oceano cieco, pozzo nero di pena m'accerchia senza spiragli. Non esiste approdo".
L’approdo esiste, ma l’eutanasia non è "morte dignitosa", ma morte opportuna, nelle parole dell’uomo di fede Jacques Pohier. Opportuno è ciò che "spinge verso il porto"; per Plutarco, la morte dei giovani è un naufragio, quella dei vecchi un approdare al porto e Leopardi la definisce il solo "luogo" dove è possibile un riposo, non lieto, ma sicuro.
In Italia, l’eutanasia è reato, ma ciò non vuol dire che non "esista": vi sono richieste di eutanasia che non vengono accolte per il timore dei medici di essere sottoposti a giudizio penale e viceversa, possono venir praticati atti eutanasici senza il consenso informato di pazienti coscienti. Per esaudire la richiesta di eutanasia, alcuni paesi europei, Olanda, Belgio, hanno introdotto delle procedure che consentono al paziente "terminale" che ne faccia richiesta di programmare con il medico il percorso di "approdo" alla morte opportuna.
Una legge sull’eutanasia non è più la richiesta incomprensibile di pochi eccentrici. Anche in Italia, i disegni di legge depositati nella scorsa legislatura erano già quattro o cinque. L’associazione degli anestesisti, pur con molta cautela, ha chiesto una legge più chiara; il recente pronunciamento dello scaduto (e non ancora rinnovato) Comitato nazionale di bioetica sulle Direttive Anticipate di Trattamento ha messo in luce l’impossibilità di escludere ogni eventualità eutanasica nel caso in cui il medico si attenga alle disposizioni anticipate redatte dai pazienti. Anche nella diga opposta dalla Chiesa si stanno aprendo alcune falle che, pur restando nell’alveo della tradizione, permettono di intervenire pesantemente con le cure palliative e di non intervenire con terapie sproporzionate che non portino benefici concreti al paziente. L’opinione pubblica è sempre più cosciente dei rischi insiti nel lasciare al medico ogni decisione sulle terapie da praticare. Molti hanno assistito un famigliare, un amico o un congiunto durante una malattia incurabile e altamente invalidante ed hanno maturato la decisione di, se fosse capitato a loro, non percorrere fino in fondo la stessa strada. Altri hanno assistito alla tragedia di una persona in stato vegetativo persistente.
Quando affrontiamo le tematiche legate al termine della vita, non ci si trova in presenza di uno scontro tra chi è a favore della vita e chi è a favore della morte: tutti i malati vogliono guarire, non morire. Chi condivide, con amore, il percorso obbligato che la malattia impone alla persona amata, desidera la sua guarigione. I medici, resi impotenti da patologie finora inguaribili, sperano nel miracolo laico della ricerca scientifica. Tra desideri e speranze, il tempo scorre inesorabile e, con il passare del tempo, le speranze si affievoliscono e il desiderio di guarigione diventa desiderio di abbreviare un percorso di disperazione, prima che arrivi a quel termine naturale che le tecniche di rianimazione e i macchinari che supportano o simulano le funzioni vitali riescono a spostare sempre più in avanti nel tempo. Per il modo in cui le nostre possibilità tecniche ci mantengono in vita, verrà un giorno che dai centri di rianimazione usciranno schiere di morti-viventi che finiranno a vegetare per anni. Noi tutti probabilmente dobbiamo continuamente imparare che morire è anche un processo di apprendimento, e non è solo il cadere in uno stato di incoscienza.
Sua Santità, Benedetto XVI, ha detto che ''di fronte alla pretesa, che spesso affiora, di eliminare la sofferenza, ricorrendo perfino all'eutanasia, occorre ribadire la dignità inviolabile della vita umana, dal concepimento al suo termine naturale''. Ma che cosa c’è di "naturale" in una sala di rianimazione? Che cosa c’è di naturale in un buco nella pancia e in una pompa che la riempie di grassi e proteine? Che cosa c’è di naturale in uno squarcio nella trachea e in una pompa che soffia l’aria nei polmoni? che cosa c’è di naturale in un corpo tenuto biologicamente in funzione con l’ausilio di respiratori artificiali, alimentazione artificiale, idratazione artificiale, svuotamento intestinale artificiale, morte-artificialmente-rimandata? Io credo che si possa, per ragioni di fede o di potere, giocare con le parole, ma non credo che per le stesse ragioni si possa "giocare" con la vita e il dolore altrui.
Quando un malato terminale decide di rinunciare agli affetti, ai ricordi, alle amicizie, alla vita e chiede di mettere fine ad una sopravvivenza crudelmente ‘biologica’…io credo che questa sua volontà debba essere rispettata ed accolta con quella pietas che rappresenta la forza e la coerenza del pensiero laico.
Sono consapevole, Signor Presidente, di averle parlato anche, attraverso il mio corpo malato, di politica, e di obiettivi necessariamente affidati al libero dibattito parlamentare e non certo a un Suo intervento o pronunciamento nel merito. Quello che però mi permetto di raccomandarle è la difesa del diritto di ciascuno e di tutti i cittadini di conoscere le proposte, le ragioni, le storie, le volontà e le vite che, come la mia, sono investite da questo confronto.
Il sogno di Luca Coscioni era quello di liberare la ricerca e dar voce, in tutti i sensi, ai malati. Il suo sogno è stato interrotto e solo dopo che è stato interrotto è stato conosciuto. Ora siamo noi a dover sognare anche per lui.
Il mio sogno, anche come co-Presidente dell’Associazione che porta il nome di Luca, la mia volontà, la mia richiesta, che voglio porre in ogni sede, a partire da quelle politiche e giudiziarie è oggi nella mia mente più chiaro e preciso che mai: poter ottenere l’eutanasia. Vorrei che anche ai cittadini italiani sia data la stessa opportunità che è concessa ai cittadini svizzeri, belgi, olandesi.
lunedì, settembre 18, 2006
domenica, settembre 17, 2006
venerdì, settembre 15, 2006
In coincidenza con un altro premio, su Rael-is-real è stata lanciata una campagna in favore di Letture in corso (1.0, in particolare; qua la versione 2.0).
Attenzione! La partita è ancora aperta. Quella che potrebbe portare GTesen a vincere MacchianeraBlogAward quale miglior blog letterario è una battaglia di libertà. Hanno finora firmato in suo sostegno Salman Rushdie, Alberto Arbasino, Rossana Rossanda, Adriano Sofri, J. M. Coetzee, Josè Saramago, Eva Henger, Fabri Fibra, Mario Vargas Llosa, Patti Smith, Bernard Henri-Levy, Gunter Grass, Caetano Veloso e Marco Materazzi. Per intaccare il potere delle oligarchie onaniste vota anche tu: basta scaricare questo file, che insieme a voti messi a casaccio assegna il massimo dei punti alle Letture in corso di GTesen, e inviarlo, dopo aver riempito lo spazio in alto a destra con il proprio nick e link, a blogawards@macchianera.net
giovedì, settembre 14, 2006
mercoledì, settembre 13, 2006
Alcuni concerti visti da queste parti: Francesco De Gregori più spocchioso del solito e per di più senza Rimmel, Buena vista social club, imperdibile però privi Candela e circondati da tifo castrista, Giovanni Allevi, quattro bis e qualche inedito, Fossati senza parole: chi c'era lo sa e non dimentica. Osservazioni a parte altri due. I Baustelle , talvolta criticati per esibizioni dal vivo non all'altezza, sorprendono positivamente: in scaletta per lo più brani da La Malavita e da Sussidiario illustrato della giovinezza, album d'esordio da affiancare Linea gotica e Paolo Conte (dell'84) come una tra le opere maggiori della canzone italiana degli ultimi trent'anni. In più le cover di Per una bambola e Je t'aime moi non plus, mentre sfumava Musichiere 999. Di Sussidiario si attende una ristampa, intanto a novembre sono state annunciate le registrazioni di un nuovo album di inediti. Nel bis il trittico Il corvo Joe / Gomma / Le vacanze dell'83. Nell'anno del Calisutra (una sola invenzione, "Il Boccapippa: Per premio se l'avete soddisfatta a dovere e non siete ancora venuti, potreste chiedere alla vostra geisha una solenne prestazione da veri intenditori: farvi leccare il culo mentre vi fate una sega"), Franco Califano ha subito quel che è toccato a Philip Roth dalle peggiori terze pagine: vederlo dal vivo permette di conoscere l'arte di uno dei maggiori cantautori del dopoguerra, una rara umanità non mediata dalle deformazioni televisive. Spilla dell'Inter al petto, naso a ricurvo fino a nascondere le narici, apre con Cammino in centro, un medley ricorda i brani scritti per altri (Minuetto, Un'estate fa...) e non mancano le grandi hit: Io nun piango e La mia libertà ("questa canzone contiene nel titolo la parola a me più cara"). Sul finale appaiono Gigi Rizzi (da visitare il suo sito, con reperti audio in stile Dies Irae) e un barcollante Andrea G. Pinketts, annunciati così "Adesso parlerano due amici miei... dovrei stare tranquillo... anche se l'urtima vorta che n'amico mio ha parlato so' finito dentro!... Ah ah ah!".
martedì, settembre 12, 2006
giovedì, settembre 07, 2006
Piano sequenza di due ore e mezza: un box pulito, ordinato, mobili Ikea, fotografia perfetta (Christian Berger), solo due personaggi: presumibilmente il Padre (Patrick Chèreau) e la Figlia (Isabelle Huppert, irriconoscibile e ringiovanita). Colpo di scena finale con la fuga della Huppert e il suicidio sotto il treno del personaggio di Chèreau. ("Un pugno allo stomaco" - Ciak, "Puro Bernhard" - Il manifesto).
martedì, settembre 05, 2006