giovedì, settembre 14, 2006

 

Al direttore - La visita della delegazione italiana in Cina ha l’obiettivo di consentire al nostro paese di recuperare qualche posizione nell’interscambio commerciale con il gigante asiatico e di favorire l’insediamento produttivo delle nostre imprese nella “fabbrica del mondo”. L’obiettivo è fortemente condivisibile e non possiamo che augurarci il massimo successo della missione: dei prodotti cinesi a basso costo beneficiano i consumatori italiani e delle opportunità su quel gigantesco mercato dovrebbero poter (meglio) usufruire le nostre aziende. Alla guida della missione italiana, però, non c’è il presidente di Confindustria, ma il presidente del Consiglio: la missione, dunque, non può essere ristretta all’ambito economico, ma diviene necessariamente politica e diplomatica. La questione dei diritti umani e politici, nonché quella della libertà di espressione e di culto, non sono una questione “interna” alla Cina ma sono per evidenti ragioni una questione internazionale. Non può essere considerata “neutrale” l’evoluzione del regime di Pechino, che si appresta a divenire la prima potenza economica mondiale. Non sarebbe neutrale anche se ci fosse indifferente il destino di quanti, dall’interno e dall’esterno del Pcc, chiedono – ancor oggi a prezzo della galera o della morte – di accorciare i tempi e di allargare, in senso politico-istituzionale, le prospettive della liberalizzazione del sistema cinese. Non sono pochi (anzi) i commentatori (ultimo, sul Corriere della Sera, Francesco Giavazzi) che si affrettano a descrivere il modello cinese come se – già oggi – fosse una variante asiatica e arretrata del modello occidentale di mercato. Al contrario, io ritengo che questa occidentalizzazione non sia ancora “ineluttabile”; penso, cioè, che sarà tanto più pregiudicata quanto più il regime di Pechino accentuerà i caratteri di una economia e di una società “di comando” e i tratti di un capitalismo di stato dai connotati sostanzialmente fascisti. E sarà tanto “meno lenta” e più irreversibile quanto più i governi occidentali – che ancora se lo possono permettere – faranno sentire la loro pressione. Innanzitutto per ragioni geostrategiche l’occidente è dunque “condannato” a coniugare il massimo dell’apertura sulle questioni economiche e commerciali, e il massimo della serietà e dell’intransigenza sul fronte dell’evoluzione politica e dei diritti umani. Questo è quello che chiediamo a Prodi e alla delegazione istituzionale partita alla volta di Pechino. E lo facciamo individuando un caso emblematico di repressione politica che chiediamo al governo italiano di sollevare con le controparti cinesi. Da oltre un mese è prigioniero del regime di Pechino l’avvocato Gao Zhisheng; è oggi fra i più noti e influenti dissidenti cinesi. Lo sarebbe anzi, se fosse ancora vivo. Ma neppure questo è certo. Il Congresso americano e, recentemente, il Parlamento europeo ne hanno denunciato la persecuzione. Visto che gli atti politici devono essere chiari, per essere efficaci, riteniamo opportuno che la delegazione italiana richieda alle autorità di Pechino di incontrare l’avvocato Gao Zhisheng.
Benedetto Della Vedova (da Il Foglio, 13/09/2006)
Comments:

Posta un commento

<< Home