sabato, dicembre 31, 2005
venerdì, dicembre 30, 2005
Draghi vattene!
Giulio Manfredi (Comitato Nazionale Radicali Italiani, autore del libro “Telekom Serbia – Presidente Ciampi, nulla da dichiarare?”, edizioni Stampa Alternativa/Nuovi Equilibri): “Berlusconi ha dimostrato ancora una volta quanto valga il suo anticomunismo da varietà televisivo. Nominando governatore della Banca d’Italia il Dr. Mario Draghi, ha premiato colui che ammise di essersi accorto dell’affaire Telekom Serbia quattro mesi dopo la sua conclusione; ed era direttore generale del Ministero del Tesoro, braccio destro dell’allora ministro Carlo Azeglio Ciampi. Se tanto mi dà tanto, io e l’allora senatore radicale Piero Milio, che denunciammo subito, nel giugno 1997, il vergognoso finanziamento del regime serbo (la stessa Procura di Torino ha verificato che i soldi di Telecom Italia, allora azienda di Stato in mano al Tesoro, finirono direttamente nei conti bancari di Milosevic), possiamo ambire alla presidenza della Banca Mondiale! D’altronde, cosa altro aspettarsi da uno come Berlusconi, che nel 1997 non si accorse di Telekom Serbia, proprio come Draghi, e che ha poi cavalcato in maniera stupida la vicenda fino alla sua conclusione in puro stile berlusconiano: il 25 maggio scorso il rinnovo della commissione d’inchiesta su Telekom Serbia è saltato perché molti deputati polisti erano andati a Istanbul ad assistere alla finale di Coppa dei Campioni Milan-Liverpool. Con simili finti anticomunisti, i comunisti veri possono dormire sonni tranquilli.”. Da Radicali.it
Da leggere anche Carmilla.
Da leggere anche Carmilla.
domenica, dicembre 25, 2005
La genialità di uno Schiaffino
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In ottemperanza agli obblighi di legge, diamo voce ad altre opinioni:
"Intanto ringrazio Diderot che mi dà lo spazio. Poi volevo dire che chi è stato sconfitto dalla storia dovrebbe piantarla. Semplicemente. Io c'ero là, quel giorno. Armeni, capelloni, ambientalisti: basta!. Abbasso Dwight Mc Donald, evviva Iva Zanicchi. Be' ora un caro saluto a voi tutti, vado a leggermi un libro di Marcello Veneziani. " - Anonimo
A completare il Rashomon, il punto di vista del molto probabile futuro co-presentatore del Tenco Giovanni Choukhadarian, su Mentelocale.
"Tutti i momenti sono belli"
Sandro Veronesi - Obulio Varela, Live (1992-1996)
Sandro Veronesi - Obulio Varela, Live (1992-1996)
"Perché pagare per essere felici?" s'intitolava un misconosciuto documentario rock anni '70 diretto dal compianto Marco Ferreri: se l'ipotesi (temuta? realizzata?) di mercificazione di ogni aspetto della esperienza umana ha reso profeticamente polemico questo titolo, non vi si può non pensare in occasione dell'uscita di un oggetto cartaceo strepitoso, degno testimone di una storia ispirata a criteri appunto diversi da quello miope del profitto: Quelle facce un po' così - Trent'anni di cantautori al Tenco, libro fotografico arricchito dagli scritti di Michele Serra, Riccardo Bertoncelli e non solo, è la transunstanziazione nel bianco e nero di Roberto Coggiola dei volti e dei corpi che per trenta edizioni hanno animato la rassegna della canzone d'autore. Bianco e nero come le copertine dei capolavori del jazz, un bianco e nero che "ha più colori del colore". Dietro ogni immagine una storia, ma la presentazione del volume non è stata solo la rievocazione di episodi leggendari come il Tom Waits che suona l'incudine: Antonio Silva, Gigi Garanzini e Giovanni Choukhadarian hanno elevato l'Uruguay campione del mondo del 1950 a metafora, ironizzato su arresti, inscenato gag e bevuto vino (stessa location di questo incontro).
Tornando ai margini di profitto e all'oculistica: insieme al libro trovate un cd di pezzi rari del Tenco, tutto a un prezzo bassissimo, fuori mercato. Se avete occhi per vedere e non vedono peggio per voi, ma compratelo lo stesso: è un investimento.
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Tornando ai margini di profitto e all'oculistica: insieme al libro trovate un cd di pezzi rari del Tenco, tutto a un prezzo bassissimo, fuori mercato. Se avete occhi per vedere e non vedono peggio per voi, ma compratelo lo stesso: è un investimento.
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In ottemperanza agli obblighi di legge, diamo voce ad altre opinioni:
"Intanto ringrazio Diderot che mi dà lo spazio. Poi volevo dire che chi è stato sconfitto dalla storia dovrebbe piantarla. Semplicemente. Io c'ero là, quel giorno. Armeni, capelloni, ambientalisti: basta!. Abbasso Dwight Mc Donald, evviva Iva Zanicchi. Be' ora un caro saluto a voi tutti, vado a leggermi un libro di Marcello Veneziani. " - Anonimo
A completare il Rashomon, il punto di vista del molto probabile futuro co-presentatore del Tenco Giovanni Choukhadarian, su Mentelocale.
venerdì, dicembre 23, 2005
"Mi tengo sempre aggiornato".
Preferisco l'insalata
Fuori piove e la gente riempie il cinema già un'ora prima dell'inizio. In sottofondo (volume inadeguato) brani da Gommalacca. Franco Battiato, vestito come nel retro di Ferro battuto, entra circondato da tre o quattro assessori alla cultura o simili.
"Lei in questo film parla di ipnosi regressiva (...)"
"Sì, ecco, (...) c'è la protagonista che conduce una trasmissione televisiva e scopre che forse in un'altra vita era un principe amico di Beethoven. Anch'io ho condotto una trasmissione televisiva, una puntata l'ho fatta con il grandissimo Jodorowski, che interpreta Beethoeven. E comunque credo nella trasmigrazione delle anime".
Qualcuno urla: "Bravo!". Un conto è scrivere Caffé de la Paix, un altro è credere nella trasmigrazione nelle anime, un altro ancora è vantarsene. "Siamo in due" risponde Battiato. Poi sulla perdità di umanità nel mondo cita Condoleeza Rice e De Sade, e quando una dal pubblico dice "la tua pittura mi sembra molto quattrocentesca" lui fa:"sì, ma anche trecentesca e cinquecentesca", ridendo. Insieme al suo irrestibile accento schiva altre domande fino alla proiezione del film.
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"Ma l'animale che mi porto dentro / non mi fa vivere felice mai / si prende tutto anche il caffè"
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Il Battiato regista è un geniale dilettante che ha scoperto la macchina da presa come se fosse stata appena inventata, come se la storia del cinema non esistesse. In questo il film è molto simile a Perduto amor, ma chi ha trovato irritante l'esordio non sopporterà Musikanten. Rigoroso e sconclusionato, sembra l'opera di un Jean-Marie Straub che, gettando alle ortiche il materialismo, si invaghisce delle idee del Mago Gabriel. Questo può bastare.
Fuori piove e la gente riempie il cinema già un'ora prima dell'inizio. In sottofondo (volume inadeguato) brani da Gommalacca. Franco Battiato, vestito come nel retro di Ferro battuto, entra circondato da tre o quattro assessori alla cultura o simili.
"Lei in questo film parla di ipnosi regressiva (...)"
"Sì, ecco, (...) c'è la protagonista che conduce una trasmissione televisiva e scopre che forse in un'altra vita era un principe amico di Beethoven. Anch'io ho condotto una trasmissione televisiva, una puntata l'ho fatta con il grandissimo Jodorowski, che interpreta Beethoeven. E comunque credo nella trasmigrazione delle anime".
Qualcuno urla: "Bravo!". Un conto è scrivere Caffé de la Paix, un altro è credere nella trasmigrazione nelle anime, un altro ancora è vantarsene. "Siamo in due" risponde Battiato. Poi sulla perdità di umanità nel mondo cita Condoleeza Rice e De Sade, e quando una dal pubblico dice "la tua pittura mi sembra molto quattrocentesca" lui fa:"sì, ma anche trecentesca e cinquecentesca", ridendo. Insieme al suo irrestibile accento schiva altre domande fino alla proiezione del film.
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"Ma l'animale che mi porto dentro / non mi fa vivere felice mai / si prende tutto anche il caffè"
Franco Battiato - L'animale
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Il Battiato regista è un geniale dilettante che ha scoperto la macchina da presa come se fosse stata appena inventata, come se la storia del cinema non esistesse. In questo il film è molto simile a Perduto amor, ma chi ha trovato irritante l'esordio non sopporterà Musikanten. Rigoroso e sconclusionato, sembra l'opera di un Jean-Marie Straub che, gettando alle ortiche il materialismo, si invaghisce delle idee del Mago Gabriel. Questo può bastare.
mercoledì, dicembre 21, 2005
Ciprì e Maresco "tornano: dal quattordici gennaio, su La7, ogni sabato alle venti e trenta, per ventiquattro minuti e affiancati da Tatti Sanguineti e Gregorio Napoli, in “I migliori nani della nostra vita”. " (Via Poligon).
Philip Roth sul Guardian.
martedì, dicembre 20, 2005
lunedì, dicembre 19, 2005
domenica, dicembre 18, 2005
IL SENSO PERDUTO DELL'ETICA PUBBLICA
Vorremmo dar ragione a Silvio Berlusconi...
Stefano Folli, Il Sole 24 ore - 18/12/2005
Vorremmo dar ragione a Silvio Berlusconi...
Stefano Folli, Il Sole 24 ore - 18/12/2005
mercoledì, dicembre 14, 2005
Carte da decifrare
Un canestro di parole nuove
In occasione di un anniversario che toccherà al lettore decifrare, ecco un vibrante scritto di uno dei più grande artisti italiani degli anni settanta. Buona lettura.
"...Cerco di comprendere perché mi hai chiesto questo servizio, per meglio adempierlo, umilmente e se possibile efficacemente, da compagno che accetta e vuole accrescere i labili o inadeguati motivi comuni di fiducia e di solidarietà. Non ci riesco.
Arrivo a sospettarti dei calcoli più imbecilli e frustri. Smadonno. Penso ad Umberto Eco, lettore-prefatore della nostra epoca scritta; ma no, piuttosto a Franco Fortini, Luigi Pintor, Adriano Sofri, cui dovevi rivolgerti, che dovevi convincere e che avrebbero saputo cogliere l'occasione per dirci un po' meglio di quanto non sappiamo quel che siete, quel che siamo, e per rispondere nello stesso tempo alle loro diverse e così significative esigenze di moralità politica. Io queste cose non le so fare. Con all'orizzonte i miei cinquanta anni ed un quarto pieno di secolo, dietro le spalle, di impegno, di lotte (e di felicità: qui vi fotto tutti!) non ho scritto un solo libro, un solo saggio, non ho "pubblicato" nulla - semplicemente perché non ho potuto, perché non ne sono capace. Scorro le pagine che ti hanno dato Carlo Silvestro e Michele Straniero, così importanti, adeguate, ben costruite, magnificamente psico-pirotecniche. Spostale e saranno un'ottima prefazione.
Cosa vuoi da me? Pensi davvero che il mio nome sia divenuto merce buona per il mercato di compra-legge, o di chi vuoi o vorresti chiamare alla lettura con questo libro? No; ne ho la prova, so che sai che non è così. Tu non leggi i miei "scritti", le migliaia di volantini ciclostilati, di comunicati-stampa, di foglietti del Partito Radicale, che sono le sole cose ch'io abbia mai prodotto, in genere scrivendole in mezz'ora, per urgenze militanti, nella bolgia di via XXIV Maggio ieri, in quella di via di Torre Argentina 18 oggi.
Tu sei un rivoluzionario. Io amo invece gli obiettori, i fuori-legge del matrimonio, i capelloni sottoproletari anfetaminizzati, i cecoslovacchi della primavera, i nonviolenti, i libertari, i veri credenti, le femministe, gli omosessuali, i borghesi come me, la gente con il suo intelligente qualunquismo e la sua triste disperazione. Amo speranze antiche, come la donna e l'uomo; ideali politici vecchi quanto il secolo dei lumi, la rivoluzione borghese, i canti anarchici e il pensiero della Destra storica. Sono contro ogni bomba, ogni esercito, ogni fucile, ogni ragione di rafforzamento, anche solo contingente, dello Stato di qualsiasi tipo, contro ogni sacrificio, morte o assassinio, soprattutto se "rivoluzionario". Credo alla parola che si ascolta e che si dice, ai racconti che ci si fa in cucina, a letto, per le strade, al lavoro, quando si vuol essere onesti ed essere davvero capiti, più che ai saggi o alle invettive, ai testi più o meno sacri ed alle ideologie. Credo sopra ad ogni altra cosa al dialogo, e non solo a quello "spirituale": alle carezze, agli amplessi, alla conoscenza come a fatti non necessariamente d'evasione o individualistici - e tanto più "privati" mi appaiono, tanto più pubblici e politici, quali sono, m'ingegno che siano riconosciuti. Ma non è questa l'occasione buona per spiegare ai tuoi lettori cosa sia il Partito Radicale; andiamo avanti.
Non credo al potere, e ripudio perfino la fantasia se minaccia d'occuparlo. Non credo ai "viaggi" e sarà anche perché i "vecchi" ci assicurano sempre che "formano" (a loro immagine) i "giovani", come l'esercito e la donna-scuola. Non credo al fucile: ci sono troppe splendide cose che potremmo/potremo fare anche con il "nemico" per pensare ad eliminarlo. E voi di Re Nudo dite: "tutto il potere al popolo", "erba e fucile". Non mi va. Lo sai, non sono d'accordo.
Brucare, o fumare erba non m'interessa per la semplice ragione che lo faccio da sempre. Ho un'autostrada di nicotina e di catrame dentro che lo prova, sulla quale viaggia veloce quanto di autodistruzione, di evasione, di colpevolizzazione e di piacere consunto e solitario la mia morte esige e ottiene. Mi par logico, certo, fumare altra erba meno nociva, se piace, e rifiutare di pagarla meno cara, sul mercato, in famiglia e società, in carcere. Mi è facile, quindi, impegnarmi senza riserve per disarmare boia e carnefici di Stato, tenutari di quel casino che chiamano "l'Ordine", i quali per vivere e sentirsi vivi hanno bisogno di comandare, proteggere, obbedire, torturare, arrestare, assolvere o ammazzare, e tentano l'impossibile operazione di trasferire i loro demoni interiori (di impotenti, di repressi, di frustrati) nel corpo di chi ritengono diverso da loro e che, qualche volta (per fortuna!), lo è davvero. Ma fare dell'erba un segno positivo e definitivo di raccordo e speranza comuni mi par poco e sbagliato. Né basta, penso, aggiungervi come puntello il vostro "fucile".
La violenza dell'oppresso, certo, mi pare morale; la controviolenza "rivoluzionaria", l'odio ("maschio" o sartrianamente torbido che sia) dello sfruttato sono profondamente naturali, o tali, almeno, m'appaiono. Ma di morale non m'occupo, se non per difendere la concreta moralità di ciascuno, o il suo diritto ad affermarsi finché non si traduca in violenza contro altri; e quanto alla natura penso che compito della persona, dell'umano, sia non tanto quello di contemplarla o di descriverla quanto di trasformarla secondo le proprie speranze. Insomma, quel che vive, quel che è nuovo è sempre, in qualche misura, innaturale.
Perciò non m'interessa molto che la vostra violenza rivoluzionaria, il vostro fucile, siano probabilmente morali e naturali, mentre mi riguarda profondamente il fatto che siano armi suicide per chi speri ragionevolmente di poter edificare una società (un po' più) libertaria, di prefigurarla rivoluzionando se stesso, i propri meccanismi, il proprio ambiente e senza usar mezzi, metodi idee che rafforzano le ragioni stesse dell'avversario, la validità delle sue proposte politiche, per il mero piacere di abbatterlo, distruggerlo o possederlo nella sua fisicità.
La violenza è il campo privilegiato sul quale ogni minoranza al potere tenta di spostare la lotta degli sfruttati e della gente; ed è l'unico campo in cui può ragionevolmente sperare d'essere a lungo vincente. Alla lunga ogni fucile è nero, come ogni esercito ed ogni altra istituzionalizzazione della violenza, contro chiunque la si eserciti, o si dichiari di volerla usare.
Se la lotta rivoluzionaria presupponesse davvero necessariamente: morte di compagni, il loro "sacrificio" e questa esemplarità, la "presa" del potere; e, a potere preso, o nelle more della conquista, il ripetere contro i nemici i gesti per i quali io sono loro nemico, gesti di violenza, di tortura, di discriminazione, di disprezzo, consideratemi pure un controrivoluzionario, o un piccolo borghese da buttar via alla prima occasione.
Non sono, infatti, d'accordo. L'etica del sacrificio, della lotta eroica, della catarsi violenza mi ha semplicemente trotto le balle; come al "buon padre di famiglia", al compagno chiedo una cosa prima d'ogni altra: di vivere e d'essere felice. Penso, personalmente, che avendo un certo bagaglio di speranze, di idee e di chiarezza non solo questo sia possibile, ma che non vi sia altro modo per creare e vivere davvero felicità. Ma esser "compagno" (come esser padre) non è scritto nel destino né prescritto dal medico. Se le vie divergono, lo constateremo e cercheremo di comprendere meglio. Ma basta con questa sinistra grande solo nei funerali, nelle commemorazioni, nelle proteste, nelle celebrazioni: tutta roba, anche questa, nera: basta con questa "rivoluzione" clausevitziana, con le sue tattriche e strategie, avanguardie e retroguardie, guerre di popolo e guerre contro il popolo, di violenza purificatrice e necessaria, di necessarie medaglie d'oro; la rivoluzione fucilocentrica o fucilo-cratica, o anche solo pugnocentrica o pugnocratica non è altro che il sistema che si reincarna e prosegue. Non solo il "Re" ma anche questa "Rivoluzione" vestita di potere e di violenza è nuda, Andrea. Tollera ch'io lo scriva nel tuo libro, se questa lettera sarà accolta come prefazione.
E tollera molto altro…
Siete, sei "antifascista", antifascista della linea Parri-Sofri, lungo la quale si snoda da vent'anni la litania della gente-bene della nostra politica. Noi non lo siamo. Quando vedo nell'ultimo numero di Re Nudo, ultima pagina, il "recupero" di un'Unità del 1943 con cui si invita ad ammazzare il fascista, dovunque capiti e lo si possa pescare, perché "bisogna estirpare le radici del male", ho voglia di darti dell'imbecille. Poi penso che tutti sono d'accordo con te, tranne noi radicali, e sto zitto, se non mi costringi, come ora, a parlare e a scrivere. Capisco le vostre ragioni: anche voi dovete dimostrare (a voi stessi?) che il PCI è oggi degenerato; che ieri era meglio d'oggi; che quando aveva armi e potere rivoluzionario era più maschio, più coraggioso, più duro e puro. Invece (come Partito, qui non parliamo dei "comunisti") era semmai, peggio, perfino molto peggio d'oggi. Comunque non era migliore sol perché teorizzava qua e là l'assassinio politico e popolare come atto di igiene e di garanzia contro "il male". Per chi l'ha ammazzato, certamente, Tritzky era peggio e più schifoso d'un fascista, e ancor più profonda radice del male. Ma, per voi che riesumate, ad onta dell'Unità di oggi, quella di ieri, credendo di legarvi così alle tradizioni di classe, popolari, operaie, non c'era davvero nulla di meglio da recuperare che questi concetti controriformistici, barbari, totalitari, contro le "radici del male"?... "*
Arrivo a sospettarti dei calcoli più imbecilli e frustri. Smadonno. Penso ad Umberto Eco, lettore-prefatore della nostra epoca scritta; ma no, piuttosto a Franco Fortini, Luigi Pintor, Adriano Sofri, cui dovevi rivolgerti, che dovevi convincere e che avrebbero saputo cogliere l'occasione per dirci un po' meglio di quanto non sappiamo quel che siete, quel che siamo, e per rispondere nello stesso tempo alle loro diverse e così significative esigenze di moralità politica. Io queste cose non le so fare. Con all'orizzonte i miei cinquanta anni ed un quarto pieno di secolo, dietro le spalle, di impegno, di lotte (e di felicità: qui vi fotto tutti!) non ho scritto un solo libro, un solo saggio, non ho "pubblicato" nulla - semplicemente perché non ho potuto, perché non ne sono capace. Scorro le pagine che ti hanno dato Carlo Silvestro e Michele Straniero, così importanti, adeguate, ben costruite, magnificamente psico-pirotecniche. Spostale e saranno un'ottima prefazione.
Cosa vuoi da me? Pensi davvero che il mio nome sia divenuto merce buona per il mercato di compra-legge, o di chi vuoi o vorresti chiamare alla lettura con questo libro? No; ne ho la prova, so che sai che non è così. Tu non leggi i miei "scritti", le migliaia di volantini ciclostilati, di comunicati-stampa, di foglietti del Partito Radicale, che sono le sole cose ch'io abbia mai prodotto, in genere scrivendole in mezz'ora, per urgenze militanti, nella bolgia di via XXIV Maggio ieri, in quella di via di Torre Argentina 18 oggi.
Tu sei un rivoluzionario. Io amo invece gli obiettori, i fuori-legge del matrimonio, i capelloni sottoproletari anfetaminizzati, i cecoslovacchi della primavera, i nonviolenti, i libertari, i veri credenti, le femministe, gli omosessuali, i borghesi come me, la gente con il suo intelligente qualunquismo e la sua triste disperazione. Amo speranze antiche, come la donna e l'uomo; ideali politici vecchi quanto il secolo dei lumi, la rivoluzione borghese, i canti anarchici e il pensiero della Destra storica. Sono contro ogni bomba, ogni esercito, ogni fucile, ogni ragione di rafforzamento, anche solo contingente, dello Stato di qualsiasi tipo, contro ogni sacrificio, morte o assassinio, soprattutto se "rivoluzionario". Credo alla parola che si ascolta e che si dice, ai racconti che ci si fa in cucina, a letto, per le strade, al lavoro, quando si vuol essere onesti ed essere davvero capiti, più che ai saggi o alle invettive, ai testi più o meno sacri ed alle ideologie. Credo sopra ad ogni altra cosa al dialogo, e non solo a quello "spirituale": alle carezze, agli amplessi, alla conoscenza come a fatti non necessariamente d'evasione o individualistici - e tanto più "privati" mi appaiono, tanto più pubblici e politici, quali sono, m'ingegno che siano riconosciuti. Ma non è questa l'occasione buona per spiegare ai tuoi lettori cosa sia il Partito Radicale; andiamo avanti.
Non credo al potere, e ripudio perfino la fantasia se minaccia d'occuparlo. Non credo ai "viaggi" e sarà anche perché i "vecchi" ci assicurano sempre che "formano" (a loro immagine) i "giovani", come l'esercito e la donna-scuola. Non credo al fucile: ci sono troppe splendide cose che potremmo/potremo fare anche con il "nemico" per pensare ad eliminarlo. E voi di Re Nudo dite: "tutto il potere al popolo", "erba e fucile". Non mi va. Lo sai, non sono d'accordo.
Brucare, o fumare erba non m'interessa per la semplice ragione che lo faccio da sempre. Ho un'autostrada di nicotina e di catrame dentro che lo prova, sulla quale viaggia veloce quanto di autodistruzione, di evasione, di colpevolizzazione e di piacere consunto e solitario la mia morte esige e ottiene. Mi par logico, certo, fumare altra erba meno nociva, se piace, e rifiutare di pagarla meno cara, sul mercato, in famiglia e società, in carcere. Mi è facile, quindi, impegnarmi senza riserve per disarmare boia e carnefici di Stato, tenutari di quel casino che chiamano "l'Ordine", i quali per vivere e sentirsi vivi hanno bisogno di comandare, proteggere, obbedire, torturare, arrestare, assolvere o ammazzare, e tentano l'impossibile operazione di trasferire i loro demoni interiori (di impotenti, di repressi, di frustrati) nel corpo di chi ritengono diverso da loro e che, qualche volta (per fortuna!), lo è davvero. Ma fare dell'erba un segno positivo e definitivo di raccordo e speranza comuni mi par poco e sbagliato. Né basta, penso, aggiungervi come puntello il vostro "fucile".
La violenza dell'oppresso, certo, mi pare morale; la controviolenza "rivoluzionaria", l'odio ("maschio" o sartrianamente torbido che sia) dello sfruttato sono profondamente naturali, o tali, almeno, m'appaiono. Ma di morale non m'occupo, se non per difendere la concreta moralità di ciascuno, o il suo diritto ad affermarsi finché non si traduca in violenza contro altri; e quanto alla natura penso che compito della persona, dell'umano, sia non tanto quello di contemplarla o di descriverla quanto di trasformarla secondo le proprie speranze. Insomma, quel che vive, quel che è nuovo è sempre, in qualche misura, innaturale.
Perciò non m'interessa molto che la vostra violenza rivoluzionaria, il vostro fucile, siano probabilmente morali e naturali, mentre mi riguarda profondamente il fatto che siano armi suicide per chi speri ragionevolmente di poter edificare una società (un po' più) libertaria, di prefigurarla rivoluzionando se stesso, i propri meccanismi, il proprio ambiente e senza usar mezzi, metodi idee che rafforzano le ragioni stesse dell'avversario, la validità delle sue proposte politiche, per il mero piacere di abbatterlo, distruggerlo o possederlo nella sua fisicità.
La violenza è il campo privilegiato sul quale ogni minoranza al potere tenta di spostare la lotta degli sfruttati e della gente; ed è l'unico campo in cui può ragionevolmente sperare d'essere a lungo vincente. Alla lunga ogni fucile è nero, come ogni esercito ed ogni altra istituzionalizzazione della violenza, contro chiunque la si eserciti, o si dichiari di volerla usare.
Se la lotta rivoluzionaria presupponesse davvero necessariamente: morte di compagni, il loro "sacrificio" e questa esemplarità, la "presa" del potere; e, a potere preso, o nelle more della conquista, il ripetere contro i nemici i gesti per i quali io sono loro nemico, gesti di violenza, di tortura, di discriminazione, di disprezzo, consideratemi pure un controrivoluzionario, o un piccolo borghese da buttar via alla prima occasione.
Non sono, infatti, d'accordo. L'etica del sacrificio, della lotta eroica, della catarsi violenza mi ha semplicemente trotto le balle; come al "buon padre di famiglia", al compagno chiedo una cosa prima d'ogni altra: di vivere e d'essere felice. Penso, personalmente, che avendo un certo bagaglio di speranze, di idee e di chiarezza non solo questo sia possibile, ma che non vi sia altro modo per creare e vivere davvero felicità. Ma esser "compagno" (come esser padre) non è scritto nel destino né prescritto dal medico. Se le vie divergono, lo constateremo e cercheremo di comprendere meglio. Ma basta con questa sinistra grande solo nei funerali, nelle commemorazioni, nelle proteste, nelle celebrazioni: tutta roba, anche questa, nera: basta con questa "rivoluzione" clausevitziana, con le sue tattriche e strategie, avanguardie e retroguardie, guerre di popolo e guerre contro il popolo, di violenza purificatrice e necessaria, di necessarie medaglie d'oro; la rivoluzione fucilocentrica o fucilo-cratica, o anche solo pugnocentrica o pugnocratica non è altro che il sistema che si reincarna e prosegue. Non solo il "Re" ma anche questa "Rivoluzione" vestita di potere e di violenza è nuda, Andrea. Tollera ch'io lo scriva nel tuo libro, se questa lettera sarà accolta come prefazione.
E tollera molto altro…
Siete, sei "antifascista", antifascista della linea Parri-Sofri, lungo la quale si snoda da vent'anni la litania della gente-bene della nostra politica. Noi non lo siamo. Quando vedo nell'ultimo numero di Re Nudo, ultima pagina, il "recupero" di un'Unità del 1943 con cui si invita ad ammazzare il fascista, dovunque capiti e lo si possa pescare, perché "bisogna estirpare le radici del male", ho voglia di darti dell'imbecille. Poi penso che tutti sono d'accordo con te, tranne noi radicali, e sto zitto, se non mi costringi, come ora, a parlare e a scrivere. Capisco le vostre ragioni: anche voi dovete dimostrare (a voi stessi?) che il PCI è oggi degenerato; che ieri era meglio d'oggi; che quando aveva armi e potere rivoluzionario era più maschio, più coraggioso, più duro e puro. Invece (come Partito, qui non parliamo dei "comunisti") era semmai, peggio, perfino molto peggio d'oggi. Comunque non era migliore sol perché teorizzava qua e là l'assassinio politico e popolare come atto di igiene e di garanzia contro "il male". Per chi l'ha ammazzato, certamente, Tritzky era peggio e più schifoso d'un fascista, e ancor più profonda radice del male. Ma, per voi che riesumate, ad onta dell'Unità di oggi, quella di ieri, credendo di legarvi così alle tradizioni di classe, popolari, operaie, non c'era davvero nulla di meglio da recuperare che questi concetti controriformistici, barbari, totalitari, contro le "radici del male"?... "*
lunedì, dicembre 05, 2005
Racaille
Leggo: "Carlo Taormina, Alfredo Biondi e Marcello Dell'Utri alle ore 18.30 presso (...). Beh, ragazzi, che dire: nell'aula che ospiterà questa riunione ci sarà il più alto tasso di devianza criminale della regione e non solo! ;-) Che strano nome però "Il circolo": non sarà che questo incontro era privato? E che il manifesto non ci voleva? Per fortuna che questa volta non c'è nessuno che è meglio che non si sappia... :-D"
Interessante questo post di blog nord-occidentale, del quale non riesco più a rintracciare il link (anzi, se qualcuno lo trova lo inserisco. Il titolo ce l'ho messo io) non tanto per i contenuti, più o meno condivisibili, quanto per l'immagine posta in calce. Si tratta della dimostrazione che i blog non rappresentano affatto nulla di nuovo: anzi, i blog propriamente detti non sono altro che il riflesso digitale di un'attività da sempre profondamente legata all'animo umano, da sempre esercitata in modi diversi. Ecco qua un post in forma di volantino appiccicato al muro, sul quale mani diverse da quelle responsabili dell'affissione esprimono il proprio punto di vista, arricchiscono di nuovi e diversi significati con i loro comments: pongono domande, chiedono spiegazioni.
sabato, dicembre 03, 2005