venerdì, marzo 16, 2007
J'Accuse (con aggiornamento del 18/3)
"Lele Mora non può lasciare il paese, Fabrizio Corona è in prigione da ieri mattina all’alba e altre quindicipersone sono nei guai: non possono uscire di casa o lavorare, perché ilprovvedimento restrittivo, dopo parecchi mesi e qualche sbadiglio, li ha finalmenteraggiunti. Per faccende di rotocalchi, foto, ricatti, cocaina, appuntamenti,cose di cui si è già letto tutto da mesi, cose che hanno persino perdutointeresse (e Fabrizio Corona, fotografo tatuato, per movimentare un po’ la storiaha pensato bene di cambiarsi la maglietta durante l’ultima udienza intribunale: si è fatto portare una t-shirt con su scritto “Corona’s” e a torso nudoha detto: “Così almeno mi faccio un po’ di pubblicità”). E’ questa la favolosa inchiestadi John Woodcock, giudice fashion victim con notevoli colli di camicia,notevoli giubbotti di pelle, notevole motocicletta, cui Potenza sta stretta,giudice generoso che permette agli appassionati di scandaletti di godersimagnifiche intercettazioni di privatissimetelefonate e favoleggiare a tavola sul mondodei tronisti, dei playboy da telecamera, delle ragazze ambiziose, delle ragazze sventate con tariffario, dei vip che comprano fotografie compromettenti (dopo essere stati così deficienti da farsele scattare) per evitare crisi familiari e sputtanamenti planetari. Da adesso non si può più, quindi, esercitare in libertà il proprio umano squallore, non si possono indossare tute di cachemire con moon boot di pelo, non ci si può adagiare su un divano leopardato e farsi massaggiare i piedi da un paio di maschioni ingioiellati, non si può passare la notte con un vecchiaccio per denaro, non si può mettere una pezza ai casini combinati sganciando un po’ di soldi, non si può avere la faccia lucida e sudaticcia, non ci si può vestire di nero e non si può avere cattivissimo gusto per le piscine e i divani, non si possono nemmeno raccontare balle al telefono sulle proprie altrimenti penose performance sessuali. E’ nata una nuova giurisdizione, che vigila con grande eccitazione su tutte le novelleduemila del mondo e colpisce con voluttà: tatuaggi scopate corna, orrore estetico dei locali notturni verso l’alba, finta trasgressione molto abbronzata. Il gran circo di Lele Mora e Fabrizio Corona, pieno di canottiere, pettegolezzi, jeans aderenti e tette finte è ora sotto vero processo (e vera galera), è finito sotto il codice penale pur essendo soltanto un’industria cafona che ama la Costa Smeralda e le feste di compleanno in discoteca, le telecamere in faccia quando il fondotinta è ben steso e qualche bacio rubato per finta, tanto per mostrare nuovi e perfetti zigomi. Non si è più liberi di essere orrendi e malvestiti, insomma. Correte a controllare i cuscini dei vostri divani, correte a togliervi l’eye liner." - da Il Foglio (13.3.2007).
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18 marzo 2007 Montichiari
Ciao D’Agostino,
ti scrivo in un momento di debilitante calo di autostima: nessuno che mai mi faccia l’omaggio di un ricatto, un tentativo almeno. E sì che sono esposto alla gogna dei molti rumori per nulla dall’età in cui ho cominciato a parlare e a camminare, nove mesi. A quasi sessant’anni, ci vuole una fibra non comune per continuare a vivere senza un minimo di cadavere nell’armadio grazie al quale poter chiedere perdono a un qualche prete, almeno in civile o in toga, e così sentirsi parte della temperie culturale e politica predominante. E’ dura vivere in un paese in cui, se non sei ricattabile, non entri né in Parlamento né in un giornale né in una televisione e pertanto neppure balzi ai disonori, quanto redditizi a medio termine, delle cronache.
Affranto, me lo sono dovuto sognare stanotte, io, Corona che mi chiedeva ventimila euro se no dava alle stampe una mia foto in cui da una tazza del bar alle nostre spalle imbocco una vecchia barbona steso per terra accanto a lei nella neve o quell’altra, la più compromettente, in cui non lo prendo nel culo! Già che ci sono, mi piacerebbe sapere com’è il giudice Woodcock dal vivo, visto che hai appena avuto l’occasione di incontrarlo faccia a faccia: davvero corrisponde alla traduzione letterale del suo stuzzicantissimo cognome?
Il fatto che poi operi in quel di Potenza non fa che accrescere, oltre a una comprensibile eccitazione, la mia simpatia e stima per lui: a me che le sue inchieste finiscano o no in tanto fumo e poco arrosto non importa più di tanto, nel frattempo ha squarciato il velo sui tanti falsi idoli e idoletti dell’immaginario collettivo dell’italiano medio e ha contribuito ad abbassare, mettendolo a seccare al sole della pubblica conoscenza, il livello di guardia del fango da doppia-vita-del-chierichetto che soggiace a questa Repubblichina fondata sul lavoro rispettabile, tutto di facciata, per procurarsi poi lavoretti di un certo tipo a pagamento.
Sembra incredibile, ma il definitivo calcolo psichico e civile della maggior parte degli italiani, anche di panza, politici e imprenditori e baronetti vari, intendo dire, si incista in un morboso mostriciattolo sessuofobico uguale per tutti da sfogare di nascosto sniffando cocaina con noiosissime plastificate carcasse di donna e di uomo e di trans a comando. Possibile che l’orizzonte di tanta gente preposta alle istituzioni e all’alta finanza e all’industria che conta e ai sacri altari e altarini del Paese stia tutto nell’elastico delle mutande proprie e altrui?
Approfitto dell’occasione per dirti che, già un paio di giorni fa, ho espresso per telefono la mia solidarietà a Belpietro, direttore del Giornale, circa la faccenda delle foto a Sircana e relativa trascrizione integrale dell’intercettazione al paparazzo (Ah, Sircana! Non ti saltella sulla punta della lingua una traduzione, parzialmente in inglese, da leccarsi i baffi, e non solo? Sulla mia, sì), solidarietà totale sulla fiducia, nevvero, anche se leggendo qui e là sulla non più paventata ma imminente riforma televisiva Gentiloni che taglierebbe un bel po’ di fiato pubblicitario a Mediaset, un riflesso da dietrologia non riesco del tutto ad azzerarlo nemmeno io (in soldoni, e riportando quanto di birichino si è andato leggendo: se la riforma Gentiloni fosse stata affossata, Belpietro non si sarebbe attenuto con il portavoce di Prodi a un ligio omissis come tutti gli altri organi di stampa, così pruriginosi ma di fatto asessuati, per non dire castrati, cioè italiani tout court?).
Inoltre: si può sapere perché sei stato convocato a Potenza dal giudice Woodcock, al quale, ribadisco, io non riuscirei a trovare un tarlo nemmeno con una lente di ingrandimento? Segreto istruttorio? Civettuolo! Dicono, i suoi detrattori, che ami comparire e che covi il vezzo delle copertine: con il tipo di inchieste che conduce e vista la quantità di figuri e figuranti che tira in ballo, potrebbe forse fare diversamente? Non si diceva la stessa cosa della Boccassini, di Di Pietro, di D’Ambrosio, di Borrelli, di Colombo? Almeno loro ci hanno tentato: sono riusciti a tentarci, e non è poco, in una pletora di magistrati che, non provandoci né tanto né poco, di certo si garantisce l’eleganza del non apparire, lo zelo del tenere bene tirate le quinte, l’umile laboriosità del discreto servo dello Stato e, infine, il cinico amore del quieto e riservato vivere e sentenziare con la suprema sinecura del non esserci possibilmente mai.
Mi auguro, tuttavia, che Corona esca dal carcere al più presto: io non credo che uno che si porta la carognaggine in faccia come un trofeo sia davvero peggio dei troppi beghini che sanno mascherarla da vittimismo e perciò stanno a piede libero. Il tipo avrà certo molte pecche e qualche colpa perseguibile, ma a me sembra più un collettore e organizzatore dei vizi altrui che uno mosso da vizi propri, a parte quello trasformato nella virtù di non soccombere dopo averne passate da giovane, secondo me, di cotte e di crude.
Corona, infine, non è un ipocrita (certo, vedo le cose da molto lontano, ma a naso non credo di sbagliarmi) e in quella gran commedia che è la Giustizia una volta in tribunale lui, proprio a causa della sua fredda ma disperata sfrontatezza, rischierebbe solo di fare l’incongrua fine dell’ingenuo. Quando uno non vede l’ora di snocciolare i propri misfatti, considerandoli vere e proprie medaglie guadagnate nella dura lotta in campo e le uniche che può vantare, merita non solo clemenza bensì una certa considerazione intellettuale, come Chaucer attesta all’indulgenziere venditore di reliquie delle quali lui per primo denuncia la falsità ai suoi compratori infoiati che, pur di averne una, sono disposti a pagarla come fosse autentica.
Come se potessero esistere reliquie che non siano false e compratori delle stesse che non siano scientificamente in malafede! Patacche essi stessi, e molto più del pataccaro che gliele vende, non riescono a godere o a sentirsi assolti e già in odor di paradiso se non tramite patacche. Ma qui si aprirebbe un’autostrada, quindi chiudo il viottolo e ti saluto.
Aldo Busi
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18 marzo 2007 Montichiari
Ciao D’Agostino,
ti scrivo in un momento di debilitante calo di autostima: nessuno che mai mi faccia l’omaggio di un ricatto, un tentativo almeno. E sì che sono esposto alla gogna dei molti rumori per nulla dall’età in cui ho cominciato a parlare e a camminare, nove mesi. A quasi sessant’anni, ci vuole una fibra non comune per continuare a vivere senza un minimo di cadavere nell’armadio grazie al quale poter chiedere perdono a un qualche prete, almeno in civile o in toga, e così sentirsi parte della temperie culturale e politica predominante. E’ dura vivere in un paese in cui, se non sei ricattabile, non entri né in Parlamento né in un giornale né in una televisione e pertanto neppure balzi ai disonori, quanto redditizi a medio termine, delle cronache.
Affranto, me lo sono dovuto sognare stanotte, io, Corona che mi chiedeva ventimila euro se no dava alle stampe una mia foto in cui da una tazza del bar alle nostre spalle imbocco una vecchia barbona steso per terra accanto a lei nella neve o quell’altra, la più compromettente, in cui non lo prendo nel culo! Già che ci sono, mi piacerebbe sapere com’è il giudice Woodcock dal vivo, visto che hai appena avuto l’occasione di incontrarlo faccia a faccia: davvero corrisponde alla traduzione letterale del suo stuzzicantissimo cognome?
Il fatto che poi operi in quel di Potenza non fa che accrescere, oltre a una comprensibile eccitazione, la mia simpatia e stima per lui: a me che le sue inchieste finiscano o no in tanto fumo e poco arrosto non importa più di tanto, nel frattempo ha squarciato il velo sui tanti falsi idoli e idoletti dell’immaginario collettivo dell’italiano medio e ha contribuito ad abbassare, mettendolo a seccare al sole della pubblica conoscenza, il livello di guardia del fango da doppia-vita-del-chierichetto che soggiace a questa Repubblichina fondata sul lavoro rispettabile, tutto di facciata, per procurarsi poi lavoretti di un certo tipo a pagamento.
Sembra incredibile, ma il definitivo calcolo psichico e civile della maggior parte degli italiani, anche di panza, politici e imprenditori e baronetti vari, intendo dire, si incista in un morboso mostriciattolo sessuofobico uguale per tutti da sfogare di nascosto sniffando cocaina con noiosissime plastificate carcasse di donna e di uomo e di trans a comando. Possibile che l’orizzonte di tanta gente preposta alle istituzioni e all’alta finanza e all’industria che conta e ai sacri altari e altarini del Paese stia tutto nell’elastico delle mutande proprie e altrui?
Approfitto dell’occasione per dirti che, già un paio di giorni fa, ho espresso per telefono la mia solidarietà a Belpietro, direttore del Giornale, circa la faccenda delle foto a Sircana e relativa trascrizione integrale dell’intercettazione al paparazzo (Ah, Sircana! Non ti saltella sulla punta della lingua una traduzione, parzialmente in inglese, da leccarsi i baffi, e non solo? Sulla mia, sì), solidarietà totale sulla fiducia, nevvero, anche se leggendo qui e là sulla non più paventata ma imminente riforma televisiva Gentiloni che taglierebbe un bel po’ di fiato pubblicitario a Mediaset, un riflesso da dietrologia non riesco del tutto ad azzerarlo nemmeno io (in soldoni, e riportando quanto di birichino si è andato leggendo: se la riforma Gentiloni fosse stata affossata, Belpietro non si sarebbe attenuto con il portavoce di Prodi a un ligio omissis come tutti gli altri organi di stampa, così pruriginosi ma di fatto asessuati, per non dire castrati, cioè italiani tout court?).
Inoltre: si può sapere perché sei stato convocato a Potenza dal giudice Woodcock, al quale, ribadisco, io non riuscirei a trovare un tarlo nemmeno con una lente di ingrandimento? Segreto istruttorio? Civettuolo! Dicono, i suoi detrattori, che ami comparire e che covi il vezzo delle copertine: con il tipo di inchieste che conduce e vista la quantità di figuri e figuranti che tira in ballo, potrebbe forse fare diversamente? Non si diceva la stessa cosa della Boccassini, di Di Pietro, di D’Ambrosio, di Borrelli, di Colombo? Almeno loro ci hanno tentato: sono riusciti a tentarci, e non è poco, in una pletora di magistrati che, non provandoci né tanto né poco, di certo si garantisce l’eleganza del non apparire, lo zelo del tenere bene tirate le quinte, l’umile laboriosità del discreto servo dello Stato e, infine, il cinico amore del quieto e riservato vivere e sentenziare con la suprema sinecura del non esserci possibilmente mai.
Mi auguro, tuttavia, che Corona esca dal carcere al più presto: io non credo che uno che si porta la carognaggine in faccia come un trofeo sia davvero peggio dei troppi beghini che sanno mascherarla da vittimismo e perciò stanno a piede libero. Il tipo avrà certo molte pecche e qualche colpa perseguibile, ma a me sembra più un collettore e organizzatore dei vizi altrui che uno mosso da vizi propri, a parte quello trasformato nella virtù di non soccombere dopo averne passate da giovane, secondo me, di cotte e di crude.
Corona, infine, non è un ipocrita (certo, vedo le cose da molto lontano, ma a naso non credo di sbagliarmi) e in quella gran commedia che è la Giustizia una volta in tribunale lui, proprio a causa della sua fredda ma disperata sfrontatezza, rischierebbe solo di fare l’incongrua fine dell’ingenuo. Quando uno non vede l’ora di snocciolare i propri misfatti, considerandoli vere e proprie medaglie guadagnate nella dura lotta in campo e le uniche che può vantare, merita non solo clemenza bensì una certa considerazione intellettuale, come Chaucer attesta all’indulgenziere venditore di reliquie delle quali lui per primo denuncia la falsità ai suoi compratori infoiati che, pur di averne una, sono disposti a pagarla come fosse autentica.
Come se potessero esistere reliquie che non siano false e compratori delle stesse che non siano scientificamente in malafede! Patacche essi stessi, e molto più del pataccaro che gliele vende, non riescono a godere o a sentirsi assolti e già in odor di paradiso se non tramite patacche. Ma qui si aprirebbe un’autostrada, quindi chiudo il viottolo e ti saluto.
Aldo Busi
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